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Conzala comu vuoi, ca sempri cucuzza è (condiscila come vuoi, tanto sempre zucchina è)

7 Gen

Da circa vent’anni l’Italia soffre di una grave malattia, che è andata ad aggravare il quadro clinico, già non brillante, che caratterizza questo Paese.

Sto parlando del “falso modernismo”, vale a dire di quella particolare patologia che porta, per esempio, a far credere, a chi soffre di questo disturbo, che passare uno strato di vernice colorata sulle pareti di un edificio fatiscente renda quella costruzione “moderna”, dando l’illusione di nascondere, non facendo apparire le imperfezioni superficiali, le carenze sostanziali di cui soffre quell’edificio.

Moderna, si badi bene, non nuova, perché quello che conta, per chi soffre di “falso modernismo”, non è avere a propria disposizione qualcosa di nuovo ma dare l’impressione di essere, apparire, sempre al passo coi tempi (“nuovo” e “al passo coi tempi”, “moderno”, sono termini che non è affatto detto abbiano lo stesso significato).

Il “falso modernismo”, malattia causata da un pericoloso quanto banale virus, si è diffuso rapidamente in tutti i settori della vita italiana, sia di quella pubblica che di quella privata, complice la disponibilità di una tecnologia sempre più facile da usare, sempre più falsamente amichevole.

Simbolo per eccellenza di questa tecnologia sempre più illusoria è il telefono cellulare; questo strumento, caratterizzato da una multifunzionalità sempre più spinta (la modalità “telefono” è solo una delle tante oggi a disposizione dell’utente), dà soprattutto la possibilità di fare con estrema facilità una delle cose maggiormente richieste nella società dell’apparenza nella quale viviamo: fotografare (ormai la fotografia, un tempo un’arte, è stata ridotta a banale strumento al servizio di un esibizionismo sempre più sfrenato).

E non è certo casuale il fatto che fra le principali vittime del virus del “falso modernismo” vi siano le aziende venditrici di servizi, orientate come sono a proporre al cliente offerte sempre più “al passo coi tempi”, sempre più cariche di nuove illusioni.

L’aspetto divertente della faccenda (aspetto che in un Paese medievale come l’Italia diventa tragicomico) è vedere che ad offrire servizi che, sulla carta, farebbero pensare ad aziende organizzate in maniera estremamente efficiente, sono anche realtà affette da una stupidità direi quasi congenita quali, per esempio, quelle attraverso le quali lo Stato si interfaccia con i cittadini italiani.

In realtà, com’è possibile constatare nella vita di tutti i giorni, molte di queste aziende sono organizzate in una maniera che non potrebbe essere più lontana da quella che danno l’illusione di possedere.

Secondo la più classica tecnica del venditore, in questi ultimi venti anni ci si è concentrati sulla forma per nascondere la sostanza, si è puntato a far apparire più vicine ai clienti, più accattivanti, le aziende che vendono servizi anziché a rendere più efficienti i servizi a queste facenti capo.

Sembra di vedere all’opera quei commercianti di arance che, per far apparire più bella la merce che offrono ai clienti, le ricoprono di paraffina, nella convinzione che “apparire belle, lucide” equivalga ad “essere buone”.

In questo mondo in cui l’apparenza è tutto, in cui “parere” è “essere”, in cui usare un tono amichevole con tutti è visto come un obbligo, si è arrivati al punto che, nel ridicolo tentativo di voler sempre “far l’americano”, pensando in questo modo di essere “al passo coi tempi”, per indicare un’azienda non si usa più farne precedere il nome dall’articolo determinativo, ma la si chiama per nome, come si fa con le persone amiche: oggi non si dice più “la Fiat”, “l’Enel”, “le Poste”, ecc. ma Fiat, Enel, Poste (quest’ultima azienda, a proposito del “finto modernismo”, rappresenta forse l’esempio più lampante).

Il risultato di quest’operazione di maquillage è che oggi i cittadini italiani pagano, rispetto a ieri, un prezzo maggiore per servizi che, di fatto, sono di qualità inferiore e, in qualche caso, esistenti solo sulla carta, o meglio, solo sulla rete.

A proposito del fatto che non c’è maquillage che tenga se non c’è sostanza, un vecchio proverbio siciliano dice: conzala comu vuoi, ca sempri cucuzza è.

La zucchina (parlo di quella siciliana, lunga), cibo di poco valore per antonomasia, resta tale anche se la si condisce (nel vano tentativo di nobilitarla) nelle più svariate maniere.

Comunque la si condisca, una zucchina rimane sempre una zucchina.