Archivio | aprile, 2020

Un tavolino a tre gambe sta in piedi solo se ci sono tutte e tre le gambe

23 Apr

Da giorni in Italia non si fa che parlare della app Immuni, che il Governo ha selezionato, tra 300, per raggiungere un obiettivo tanto importante quanto parziale, nella strategia di contrasto alla diffusione del virus SARS-CoV-2: il tracciamento delle persone venute in contatto con soggetti contagiati dal virus.

Fin da quando si è iniziato a parlare di un progetto tendente a tracciare gli spostamenti delle persone, per di più tenute ad indicare nella app dati personali, ci si è preoccupati non solo di essere controllati (preoccupazione ingiustificata, visto l’uso quotidiano che già da anni si fa di sistemi di pagamento elettronico e di social media) ma, soprattutto, e più sensatamente, di una invasione nella propria sfera personale e del rischio di un “commercio” dei nostri dati personali.

Se però si tiene conto delle condizioni che devono essere soddisfatte perché il sistema del quale questa app fa parte funzioni, ci si rende conto di quanto sia improbabile che questo progetto del Governo italiano possa raggiungere l’obiettivo, che, vale la pena di sottolineare, non è solo quello di tracciare gli spostamenti delle persone.

Le probabilità che anche questo vada ad aggiungersi alla ricca lista dei progetti italiani miseramente falliti non sono basse, anzi.

Due soli esempi, peraltro assai recenti: il reddito di cittadinanza e la didattica a distanza.

Quanti sono ad oggi, tra tutti quelli che hanno percepito il reddito di cittadinanza, quelli che hanno trovato un lavoro grazie al supporto dei famosi navigator?

E quante sono, in ciascuno dei quasi 8000 comuni italiani, le classi che stanno facendo didattica a distanza, misura tecnologica adottata in tempi di lockdown conseguente all’epidemia da SARS-CoV-2 ?

Torniamo alla famosa app Immuni.

Perché le probabilità che si tratti di un fallimento annunciato non sono da trascurare?

La risposta non sta tanto nell’effettiva funzionalità della app (ammesso e non concesso che ad utilizzarla sarà almeno il 60% della popolazione italiana e che non nascano problemi di funzionamento nei sistemi operativi dei telefoni esistenti in Italia) quanto nelle conseguenze che una app del genere può avere in un contesto come quello del mondo di Internet (leggasi hacker) e, soprattutto, nelle altre due delle tre gambe che devono reggere il tavolino progettato.

L’utilità della app è infatti legata all’adozione di un insieme di altre misure, di natura organizzativa e sanitaria, senza le quali Immuni, da sola,  risulterebbe inutile.

Perché il progetto di cui la app Immuni fa parte raggiunga l’obiettivo è necessario infatti che esistano le altre due T previste, il che vuol dire disporre della capacità di eseguire i test che saranno richiesti e di una efficiente rete di strutture sanitarie su tutto il territorio nazionale.

Se, per esempio, non si sarà in grado di fare i tamponi subito dopo aver individuato i contagiati, la app risulterà inutile.

Ciò che porta a considerare non trascurabili le probabilità che, anche questa volta, ci si trovi di fronte ad un progetto già fallito prima ancora di essere partito, non è tanto, e non solo, la facile previsione che questa app Immuni sarà utilizzata da meno del 60% della popolazione italiana quanto la consapevolezza dell’assenza, su tutto il territorio nazionale, di una rete di strutture sanitarie con adeguate capacità organizzative.

Ed è soprattutto questo secondo aspetto quello che dovrebbe maggiormente interessare, quello sul quale si dovrebbe puntare l’attenzione.

Ci si dovrebbe rendere conto che senza un’efficiente rete di strutture sanitarie su tutto il territorio nazionale, senza le necessarie capacità organizzative, anche nell’ipotesi di un suo uso massiccio e privo di problemi tecnici di funzionamento, la app Immuni risulterà inutile.

A cosa serve infatti Immuni se il territorio nazionale è privo di strutture sanitarie specificamente dedicate al trattamento dei soggetti individuati dal tracciamento? 

La cosa diventa poi paradossale se si considera che le criticità del sistema aumenterebbero notevolmente proprio in presenza di un uso massiccio della app!

Ma allora perché si partirà con questo progetto?

E qui veniamo al cuore del problema.

Questo progetto serve solo a far credere che al governo ci sia gente che sa come uscire dal tunnel.

Non importa che ciò non sia vero, l’importante è che tanti ci credano.

Non è forse vero che, già ormai da anni, in Italia si vive nel mondo della comunicazione, del marketing?

E cos’è che conta in questo mondo? Conta la percezione, non la realtà.

A proposito del coronavirus SARS-CoV-2

8 Apr

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L’epidemia di questo SARS-CoV-2 ha fatto venire alla luce le incredibili complicazioni che caratterizzano la struttura amministrativa dello Stato italiano.

Una struttura piena di complicazioni inutili, fini a sé stesse, molto spesso folli, frutto di una mentalità gravemente malata (questo è, almeno, il giudizio che ne dà una persona che ha nel pensiero razionale il suo faro).

In questi giorni si è aperta una gara per individuare il colpevole, la fonte di questa mostruosa ragnatela che avvolge, immobilizzandola, la società italiana.

C’è chi attribuisce la responsabilità alla burocrazia e c’è chi invece la attribuisce al legislatore, dicendo che la burocrazia non fa che applicare le leggi.

Ecco che si ripresenta, in questa surreale partita di ping pong, la mentalità dell’on/off, quella per cui esistono solo due alternative, che si escludono a vicenda, quella per cui le possibili soluzioni dei problemi sono solo due.

In questo caso, la responsabilità è o del legislatore o dei burocrati.

Chi, ancora oggi, non cade nella trappola dell’on/off, della logica binaria, capisce che il problema non è così semplice e che la mentalità binaria non è adatta ad affrontarlo in maniera corretta.

Capisce, per esempio, che le responsabilità del legislatore non escludono quelle della burocrazia, e viceversa.

E che entrambe non ne escludono altre.

Prendiamo ad esempio il caso del modulo di autocertificazione: chi lo ha pensato, chi lo ha materialmente scritto, chi ne ha autorizzato la diffusione?

Ha senso, in questo caso, dire che si tratta di responsabilità del legislatore?

Ha senso dire che è colpa del legislatore se quel modulo è scritto in quel modo, se si è fatto ricorso a quei termini?

No, non sta certo nel legislatore la responsabilità di quel mostro.

E nemmeno nella burocrazia (tra l’altro, sia burocrazia che legislatore sono parole generiche, che non vogliono dire nulla di preciso.

Al contrario, si ha a che fare con persone specifiche, persone in carne ed ossa, persone che nessuno ha obbligato a scrivere in quel modo, ad usare quei termini.

Cos’è, per esempio, che ha impedito agli italiani di disporre di un modulo scritto come quello a disposizione dei francesi?

Cos’è che ha impedito all’amministrazione italiana di scrivere un modulo nel modo in cui è stato scritto in Francia?

E che dire delle famose mascherine? Chi ha deciso di scrivere ordinanze che obbligano ad indossarle, sapendo che non ce ne sono, quanto meno nella quantità necessaria?

Il problema più grosso e grave dell’Italia non sta nel numero abnorme di leggi, ma nella mentalità che porta a credere che i problemi si risolvano semplicemente, automaticamente, scrivendo leggi, e che ogni problema richieda una legge.

La faccenda diventa poi surreale quando si considera che lo Stato italiano non è, storicamente, in grado (per incapacità o per calcolo politico) di far applicare le leggi che promulga.

La convinzione, che affonda le proprie radici in una cultura basata sulla parola, che prescinde dai fatti, è che basti scrivere perché l’oggetto di quello scritto si materializzi da quelle parole (il potere magico delle parole, quelle che nella favola di Cenerentola trasformano una zucca in carrozza).

In questo mondo fantastico, il numero di leggi è solo la naturale conseguenza di questa mentalità.

Concludo con le parole di Cartesio, faro per i cultori del pensiero razionale, parole che trovo si applichino in maniera perfetta al caso italiano: “Spesso il gran numero delle leggi fornisce scuse ai vizi, per cui uno Stato è tanto meglio regolato quando, avendone pochissime, esse vengono rigorosamente osservate”.