Il 6 maggio 1999 il pubblico di Rai 2 conobbe Salvo Montalbano, e con lui Vigàta, Fazio, Catarella ecc.
Andò in onda, quella sera, “Il ladro di merendine”, il terzo giallo di Camilleri con protagonista il commissario Montalbano (prima c’era stato “Il cane di terracotta” e, prima ancora, “La forma dell’acqua”).
Chissà quanti, quella sera di vent’anni fa, dopo aver visto “Il ladro di merendine”, avrebbero scommesso sul successo di quel nuovo commissario di polizia.
Significativo il fatto che quel primo episodio sia stato trasmesso sul secondo canale e non sulla rete ammiraglia della Rai.
Segno che i primi a nutrire dubbi sul successo di quel nuovo personaggio erano proprio i dirigenti Rai.
Quell’episodio era tratto dal racconto omonimo di Camilleri, un autore già molto noto in Rai ma pressoché sconosciuto al grande pubblico.
Anche a quello televisivo, nonostante che si trattasse di un nome che, da quasi 40 anni, era di casa non solo nel mondo della televisione ma anche in quello del teatro.
Chissà quanti, per esempio, avevano associato il nome di Camilleri a quel Camilleri che compariva nei titoli di coda dei primi episodi del commissario Maigret, trasmessi dalla Rai a metà degli anni ’60.
Quello che è successo dopo la visione di quel primo episodio è qualcosa di incredibile, di inspiegabile.
Ancora oggi, a distanza di tanti anni, ci si chiede a cosa sia dovuto l’incredibile successo del commissario Montalbano (gli esseri umani hanno un istintivo bisogno di spiegare qualsiasi cosa accada secondo una logica di causa-effetto).
Tante le ipotesi, ma nessuna convincente.
L’idea che mi son fatto è che il successo di Camilleri, un successo planetario, senza precedenti, sia un successo indotto: non è l’autore la chiave, ma i personaggi da lui creati, unitamente all’ambiente nel quale questi agiscono.
E quando parlo di ambiente non mi riferisco ai luoghi reali, ma all’immaginazione, alla fantasia, a ciò che quei luoghi evocano, al fascino millenario che li circonda: la Sicilia che fa da sfondo alle avventure di Montalbano non è la Sicilia reale, quella delle strade impercorribili, quella delle montagne di spazzatura che da tempo immemorabile fanno da sfondo, quella degli intrallazzi, quella delle collusioni di larghi strati della società col potere mafioso, quella delle coste deturpate da un abusivismo osceno, ma quella che il nome stesso “Sicilia” evoca, al solo pronunciarlo, nella mente di chi ascolta, di chi guarda, quella dei miti del passato, quella che ancora oggi, nella mente di tante persone, rappresenta il mondo esotico a portata di mano.
E chi più di Camilleri poteva avere la consapevolezza della potenza creatrice della letteratura?
Non a caso, a chi gli chiedeva come mai non avesse mai scritto di Mafia, Camilleri rispondeva dicendo di non averlo mai fatto per paura di creare, seppure involontariamente, eroi simpatici (forse pensava al Padrino, di Mario Puzo, personaggio reso simpatico da Marlon Brando).
Tornando al successo del creatore del commissario Montalbano, credo che questo lo si debba più alle scene televisive che non alle pagine dei romanzi.
Si tratta in sostanza di un fenomeno mediatico (mediatico, non solo editoriale) ed è inutile, vista la natura del fenomeno, cercare spiegazioni: sarebbe come cercare causalità in eventi casuali.
E cercare di spiegare in termini di causalità quelli che sono fenomeni casuali è qualcosa di irrimediabilmente sbagliato.