Archivio | marzo, 2014

A proposito dello sciopero dei mezzi pubblici di oggi

19 Mar

Oggi è l’ennesima giornata di sciopero di mezzi pubblici in tutta Italia.

Al di là del fatto che i giornali, con la retorica che non manca mai nei loro titoli, parlino di sciopero di bus e metro (anche se le città italiane dotate di metropolitana si contano sulle dita di una mano), siamo per l’ennesima volta di fronte ad un fatto che in Italia è ormai vissuto come un vero e proprio rito, come l’arrivo delle stagioni, come le ricorrenze religiose.

Ma come si fa a non capire che lo sciopero, così come viene utilizzato, è uno strumento inutile, assolutamente inefficace?

A che serve, se non a finire sulle prime pagine dei giornali?

Come si fa a non capire che si tratta ormai di una inutile liturgia, la cui funzione non va oltre quella di un’affermazione della propria esistenza da parte di alcuni?

Ma, soprattutto, come si fa a non vedere che gli unici effetti concreti che questo strumento produce è un forte disagio per milioni di cittadini, sempre più in balìa di interessi corporativi, privi di effettive tutele?

La domanda che bisognerebbe porsi è: che senso ha continuare a far pagare ai cittadini le inefficienze di amministratori incapaci e clientelari e il mantenimento di interessi/privilegi particolari?

Parità di genere, l’ennesima intossicazione da retorica

11 Mar

Da un po’ di tempo a questa parte non si fa altro che discutere delle cosiddette “quote rosa”.

L’ultimo capitolo di questo “romanzo popolare” si è chiuso ieri alla Camera, dove sono stati bocciati (da parte di quelli che hanno approfittato del riparo loro consentito dal voto segreto) tutti gli emendamenti che puntavano a far sì che la nuova legge elettorale contenesse precise regole per garantire una significativa presenza femminile nelle istituzioni.

Al di là però dell’esito del voto parlamentare, trovo che l’idea secondo la quale alle donne debba essere garantito “per legge” un numero minimo di rappresentanza sia qualcosa di profondamente sbagliato.

E le prime a capirlo dovrebbero essere proprio le donne, a cominciare da quelle ieri inutilmente e (ridicolmente) vestite di bianco.

Quello che dovrebbe interessare (non solo alle donne) è fare in modo che in Parlamento non ci siano più personaggi da macchietta (o da galera), lì soltanto perché cooptati, e non di aggiungere a questo squallido panorama il numero delle donne.

Trovo che se c’è una battaglia da fare in questo Paese (e in modo serio), questa sia quella che si ponga due precisi obiettivi: quello di pretendere che la selezione dei candidati (fra i quali chiedere agli elettori di esercitare il loro diritto di scegliere) venga effettuata sulla base del loro curriculum e quello d’impedire qualsiasi tipo di discriminazione nella valutazione del curriculum dei candidati.

Quello che dovrebbe interessare non è che in Parlamento ci siano tot uomini e tot donne, ma che a decidere sulle sorti del Paese ci siano le persone più competenti, quelle più meritevoli, e questo indipendentemente dal loro sesso.

E l’interesse a favorire l’ascesa delle persone più competenti non andrebbe limitato ai parlamentari, ma dovrebbe essere esteso a tutti i posti di responsabilità dell’amministrazione pubblica di questo Paese.

L’equivoco sulle “quote rosa” fa il paio con quello sul significato delle cosiddette “pari opportunità”.

A questo proposito, andrebbe notato che l’espressione “pari opportunità” significa garantire che vi sia effettiva parità di condizioni di partenza e non, come invece si è soliti credere, garantire parità delle condizioni di arrivo.

Nel tanto richiamato art. 51 della Costituzione c’è scritto: Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.

Scrivere “possono accedere” vuol dire “devono potere accedere”, cosa ben diversa da “devono accedere”; significa che a tutti i cittadini deve essere garantita la possibilità di accedere, con la sola discriminante del possesso di determinati requisiti.

Un Paese serio dovrebbe porsi come obiettivo quello di promuovere le competenze, contro ogni genere di discriminazione, a cominciare da quella sui requisiti.

L’obiettivo al quale puntare è quello di garantire che il possesso dei requisiti, oltre che condizione necessaria, sia anche sufficiente (a differenza di quello che avviene).

Supponiamo ora che ci sia l’esigenza di ricoprire 100 posti di “responsabile” in un’amministrazione dello Stato e che a questo fine venga bandito un apposito concorso, al quale partecipino 10.000 persone.

Supponiamo che nei primi 100 posti in classifica ci siano 80 donne e 20 uomini.

In presenza di una legge che obblighi a dividere “a metà” quei 100 posti, in base alla “parità di genere”, ad essere scelti sarebbero i 50 uomini meglio classificati e le 50 donne meglio classificate (si noti che 30 donne verrebbero così “sacrificate”, e questo proprio in nome di una legge fatta per tutelare i loro interessi).

Supponiamo adesso che quei 100 posti vengano invece assegnati a chi si piazza nei primi 100 posti (a prescindere dal sesso), in virtù di una legge che garantisca l’interesse generale, che favorisca il merito, la competenza.

In questo caso anche quelle 30 donne vedrebbero riconosciuti i propri meriti.

Quanta ridicola retorica, quanta ridicola ideologia, quanta ridicola demagogia!

Che pena!

In Italia il numero dei “comandanti” è indipendente da quello dei “comandati”

8 Mar

Le strutture (centrali e periferiche) attraverso le quali si articola lo Stato italiano (Ministeri, Regioni, Province, Comuni, ecc.), così come le società da queste controllate o partecipate, si caratterizzano, oltre che per la loro bassa efficienza, per lo spropositato numero di dirigenti.

E però, di fronte a questo dato, non ci si deve stupire più di tanto, visto il forte condizionamento esercitato in questo Paese dalla politica.

Allo stesso modo, non ci si deve meravigliare se a volte nelle organizzazioni delle grandi aziende controllate o partecipate dallo Stato si creino strutture senza alcuna logica aziendale (ma non prive di una loro logica).

Occorre infatti tener conto del fatto che alcune strutture nascono non per rispondere ad una reale, concreta, esigenza aziendale ma, più semplicemente, per giustificare il fatto che alcune persone possano ricoprirvi il ruolo di dirigente.

Una funzione importante di alcune aziende (soprattutto di quelle più grandi) è infatti quella di dépendance del potere politico: la logica alla quale rispondono non è interna all’azienda, ma esterna ad essa.

Il percorso che si segue non è finalizzato a soddisfare un bisogno generale, ma a soddisfarne uno particolare, personale; l’obiettivo non è quello di migliorare l’efficienza dell’organizzazione ma quello di “sistemare” qualcuno (indipendentemente dalle ricadute di questo tipo di scelte sull’efficienza, a conferma del fatto che di questa in realtà nessuno si cura).

Secondo logica, una struttura (la risposta cioè ad un preesistente bisogno) precede la scelta di chi la dirige; in molti casi invece la segue (il bisogno viene allora creato apposta, nel tentativo di dare una giustificazione ex post ad una struttura inutile, superflua).

Quante volte, nel mondo del lavoro, mi è capitato di vedere delle cose assolutamente inutili, superflue, e non invece le risposte che la situazione richiedeva!

Ovviamente, in un tale sistema è assolutamente privo di senso cercare competenza nelle persone a capo di queste inutili realtà.

L’assurdità di strutture con un numero di dirigenti sproporzionato a quello delle persone a loro sottoposte può anche arrivare al punto di crearne alcune formate dal solo responsabile.

Credo risulti superfluo sottolineare quanto lo sproporzionato numero di dirigenti e la scarsa efficienza siano elementi fra loro fortemente interdipendenti.

Un mio precedente post lo avevo dedicato ad una notizia che confermava quest’antica e ben consolidata abitudine.

Avevo parlato dell’incredibile numero di dirigenti (1.800, vale a dire uno ogni nove dipendenti) della Regione Siciliana e avevo osservato come questo numero fosse ancora più scandaloso in quanto assolutamente sproporzionato al livello della qualità dei servizi a disposizione dei siciliani.

Ma siccome il presente non è altro che la conseguenza del passato, è nel passato che bisogna ricercare le origini di quel che accade oggi.

Ecco perché è importante studiare la Storia, stando però attenti a non fermarsi a quella ufficiale.

Prendiamo, per esempio, la spedizione dei Mille, episodio tanto famoso quanto sovrautilizzato dalla retorica nazionale e ancora oggi pieno di punti oscuri.

Già allora era all’opera la sempre viva abitudine di sfruttare le occasioni che la Storia presenta per acquisire dal potente di turno nomine, cariche, posti, privilegi, secondo quello spirito feudale che si perpetua nei secoli (ben evidenziato dal famoso “todos caballeros” di Carlo V).

Già in quel maggio del 1860 era chiara la tendenza a strutturare le organizzazioni pubbliche in modo che da esse derivino tanti posti di comando, ad utilizzare ciò che è pubblico a fini privati.

La sproporzione che vediamo oggi nella Regione Siciliana ripropone un fenomeno già presente 154 anni fa nell’esercito garibaldino, che contava un numero di ufficiali chiaramente sproporzionato alla sua reale consistenza.

L’esercito di Garibaldi contava infatti più di seimila ufficiali, a fronte di una forza complessiva che non arrivava a venticinquemila uomini (un rapporto di 1 a 4, contro quello di 1 a 30 che caratterizzava gli eserciti dell’epoca).

Si tenga conto che oggi (dati 2011), nelle Forze Armate italiane il rapporto fra generali e militari è di 1 a 418, a fronte di quello di 1 a 1.555 degli Stati Uniti d’America.

Come si vede, si continua ad assistere allo stesso spettacolo: gli attori cambiano, ma non il copione.

“Facite ammuina”: niente rende meglio l’idea del far finta di fare

2 Mar

Continua a crescere senza sosta e senza freni la confusione nell’uso delle parole, sempre più spesso utilizzate al di fuori del loro reale significato.

Si tratta di una patologia paragonabile, in quanto crescita senza controllo, ad un vero e proprio tumore maligno.

Che cos’è infatti un cancro se non una crescita cellulare completamente fuori controllo?

Come noto, fra le diverse cause all’origine delle alterazioni genetiche che portano allo sviluppo in un organismo di un cancro, ve ne sono alcune provocate da fattori esterni (comportamenti, ambiente).

E tra i fattori esterni che hanno sicuramente favorito la crescita senza controllo dell’uso improprio delle parole vedo senz’altro la tecnologia dei “social network”, il cui uso li caratterizza sempre di più come produttori, in massima parte, di rumore, scambiato per segnale.

Ma tanto, chi nota la differenza, chi la fa notare, chi rimette le cose a posto in questa grande confusione?

Che non è certo quella alla quale si riferiva Mao, quando diceva: “Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”.

Prendiamo, per esempio, tra la moltitudine di casi di confusione, quella fra “movimento” e “spostamento”.

In questo Paese l’obiettivo è, come al solito, quello di “fare ammuina”: si vuol dare cioè l’impressione di muoversi, quando in realtà si rimane fermi al solito posto.

Mi viene in mente il twist, il famoso ballo in voga negli anni sessanta: ci si muoveva tanto, ci si dimenava, rimanendo però fermi sul posto.

Mi viene in mente anche il caso di un’automobile di grossa cilindrata con il motore acceso ma in folle: consuma una grande quantità di carburante, ma rimane ferma.

E proprio questa seconda analogia consente di evidenziare in maniera efficace quella che è una delle più grosse anomalie di questo Paese: disporre di una mastodontica macchina burocratica che consuma un’enorme quantità di risorse solo per il proprio mantenimento, senza alcun riferimento alla produzione di un effetto positivo per i cittadini.

Come direbbe Shakespeare, “molto rumore per nulla”.

In queste condizioni è evidente che cambiare il guidatore di un’auto col motore in folle è inutile.