Diversi episodi accaduti di recente in diverse parti del mondo (negli USA, in Francia, in Italia) hanno riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica il delicato tema della libertà di stampa e, più in generale, quello della libertà d’espressione.
Si tratta di un tema tanto importante, centrale, quanto ben noto fin dai tempi antichi, tema che costringe (o meglio, dovrebbe costringere, visto come, anche in questi giorni, è stato affrontato) a riflettere su un punto che molti, per varie ragioni, soprattutto ideologiche (che brutta cosa che è l’ideologia!), tendono ad ignorare o, nel migliore dei casi, ad affrontare in modo parziale, spesso anche mutevole, a seconda degli interessi che in un determinato momento vogliono proteggere.
L’elemento-chiave di cui non si ha/non si vuole avere consapevolezza, che si fa fatica ad accettare e a far capire a chi ci sta intorno è che la libertà, questo concetto di cui tanti parlano senza nemmeno essere in possesso della necessaria maturità che tale delicato tema richiederebbe, non è affatto un concetto assoluto.
Il significato, il senso della parola “libertà” non può essere banalmente ridotto a quello di “fare ciò che si vuole”, come, assecondando la sempre più diffusa insofferenza alle regole, si vorrebbe far credere; essere liberi, veramente liberi, non significa dire, scrivere, fare quel che ci pare, senza la minima cura delle conseguenze (tanto di quelle che riguardano noi stessi quanto di quelle che riguardano gli altri) di quello che diciamo, di quello che scriviamo, di quello che facciamo.
La nostra libertà, ben lungi dall’essere qualcosa di assoluto, è limitata, molto limitata, e questo per il semplice motivo che essa finisce là dove comincia quella degli altri.
Il triste, incredibile, spettacolo al quale purtroppo sempre più spesso siamo costretti ad assistere (e la cronaca di questi giorni ne è la migliore riprova) è vedere come la parola “libertà” venga impunemente strumentalizzata da personaggi senza scrupoli, mediocri, vigliacchi, che pure pretendono (e qui siamo veramente all’assurdo!) d’impersonare, essendo responsabili di fatti, di comportamenti vergognosi, la parte dei perseguitati.
Dando pure per scontata la giusta condanna di certe reazioni, quando queste risultano assolutamente sproporzionate al fatto che le ha scatenate, quello che proprio non vedo è quale relazione ci sia tra la sacrosanta libertà di un giornalista d’informare correttamente i lettori del suo giornale, riportando notizie riguardanti fatti accaduti (per come sono accaduti) o esprimendo le proprie opinioni in proposito, e la pubblicazione di notizie che il giornalista sa bene, nel momento in cui le si pubblica, essere false.
Ma perché mai si deve continuare a considerare giornalisti dei personaggi che, per mestiere, giocano a distorcere la realtà, per fini che nulla hanno a che vedere con la professione di giornalista?
Ma che cosa ha a che vedere con la libertà di stampa la pubblicazione di notizie che si sa essere false?
E per quanto riguarda la satira, ma che cosa ha a che vedere con questa fine forma d’espressione del pensiero l’offesa gratuita di persone, di comunità?