Archivio | febbraio, 2013

A proposito dell’analfabetismo degli italiani

21 Feb

Sono anni che il linguista Tullio De Mauro evidenzia come la maggioranza degli italiani (quasi 2 su 3) abbia difficoltà a comprendere il significato di un testo di media difficoltà.

A questo proposito si è soliti parlare di “analfabetismo di ritorno”; ebbene, credo che da quest’espressione si possa tranquillamente togliere la seconda parte (“di ritorno”), trattandosi, nella stragrande maggioranza dei casi, di carenze non collegate al mancato mantenimento di conoscenze acquisite in precedenza ma di capacità mai possedute.

L’analfabetismo degli italiani è la prova più lampante non solo del fallimento della scuola pubblica ma anche di tutti quelli che, lungo tutti i 150 anni della (cosiddetta) Unità d’Italia hanno ricoperto ruoli istituzionali in questo Paese (salvo rarissime eccezioni).

Il dato evidenziato da De Mauro mi è venuto in mente proprio in questi giorni, leggendo cosa è successo a seguito dell’ultima trovata di Berlusconi.

A Genova è successo che molte persone (soprattutto anziane), dopo aver ricevuto la lettera contenente il messaggio elettorale del PdL sulla restituzione dell’IMU, si sono recate presso i centri di assistenza dei sindacati per chiedere i moduli per ottenere i rimborsi delle somme versate nel 2012.

Com’è (o meglio, come avrebbe dovuto essere) evidente, si trattava di un semplice messaggio elettorale, privo di qualsiasi ufficialità, nel quale è evidenziato l’impegno di Berlusconi a restituire agli italiani, a fronte del loro voto, le somme versate nel 2012 per l’IMU sulla prima casa.

Di fronte a questo incredibile fenomeno, i patronati hanno dovuto emettere un comunicato per ricordare a tutti che al momento non è previsto alcun rimborso delle somme versate nel 2012 per il pagamento dell’IMU.

Nella lettera “incriminata”  c’è scritto “siamo determinati a cancellare subito l’Imu, nel primo Consiglio dei Ministri dopo la vittoria, restituendo immediatamente l’Imu pagata nel 2012 sulla prima casa“.

C’è anche scritto: “L’Amministrazione finanziaria Le invierà una lettera firmata dal nuovo Ministro dell’Economia e dello Sviluppo”…, “la lettera Le comunicherà il Suo diritto a ricevere il rimborso e l’ammontare che Le spetta“…, “Subito dopo aver ricevuto la lettera Lei potrà recarsi presso gli sportelli delle Poste italiane a riscuotere il rimborso. Oppure, se preferirà, potrà comunicare all’Amministrazione finanziaria i Suoi estremi bancari per l’accredito sul suo conto corrente“.

Si vede (si sarebbe dovuto vedere) chiaramente che si tratta soltanto di una promessa, di un impegno.

Il fatto è che Berlusconi parla agli italiani (che conosce molto bene) per quello che sono, non per quello che dovrebbero essere.

Quello che viene chiaramente fuori da tutto questo è che il mediocre sistema politico italiano è un sistema che si alimenta con le scorie che lui stesso produce e che pertanto “deve”continuare a produrre, se vuole sopravvivere.

Di fronte al dato, peraltro arcinoto, ricordato dal Prof. De Mauro, ci si dovrebbe piuttosto interrogare sull’effettiva funzione del voto in un Paese quale il nostro.

Perché il potere ufficiale teme il Movimento di Beppe Grillo

16 Feb

Quanto più si avvicina il giorno delle elezioni politiche, in programma il 24 e 25 di questo mese, tanto più cresce il timore di buona parte degli schieramenti politici (vecchi e nuovi) per i voti che gli elettori italiani assegneranno al Movimento 5 Stelle.

Il fatto poi che, proprio a ridosso di queste elezioni, siano finite sulle prime pagine dei giornali notizie di scandali che hanno ancora una volta rivelato su quale ramificato sistema d’interessi si basi il potere di chi determina le sorti del nostro Paese (sistema nel quale, è bene ricordare, sono coinvolti, direttamente o indirettamente, quasi tutti gli schieramenti politici che, come se nulla fosse, chiedono di essere votati) non fa evidentemente che aumentare questo timore.

Non è un caso che le prese di posizione sul Movimento 5 Stelle si vadano facendo sempre più nette.

Ma qual è il motivo che sta alla base di questo timore, che cos’è che fa più paura del Movimento di Beppe Grillo?

Credo che la risposta a questa domanda centrale vada ricercata nel fatto che questo Movimento è nato e si è sviluppato sul web, su un mezzo cioè assolutamente diverso dai tradizionali mass media, sui quali chi detiene il potere può da sempre contare per esercitare il proprio controllo sui cittadini-elettori (è davanti agli occhi di tutti l’uso della televisione come strumento finalizzato a fabbricare il consenso).

Da sempre, il primo problema che ossessiona chi detiene il potere è quello di tenere sotto controllo i cittadini, di mantenerli all’interno di determinati spazi, entro schemi codificati e ben collaudati (quali per esempio la chiesa, il partito, il sindacato).

Il web non consente il controllo, non consente di manipolare a proprio piacimento l’opinione pubblica.

Ed è proprio questa impossibilità di esercitare il controllo l’elemento che suscita il timore dei detentori del potere.

E la vera forza della rete sta in quella che è la sua stessa natura; il web non si limita infatti a collegare macchine, fa qualcosa molto più importante: connette persone.

Quello che fa paura del Movimento 5 Stelle è che, essendo basato sulla rete, sfugge ad ogni possibilità di controllo.

Ma “vigilare” non vuol dire “stare a guardare”

3 Feb

Una delle più serie criticità evidenziate dal recente scandalo che ha toccato il Monte dei Paschi di Siena è sicuramente l’attività di vigilanza della Banca d’Italia.

A tal proposito, il nostro Presidente della Repubblica, che non perde occasione per mostrarsi (a parole) supremo garante delle istituzioni del Paese, ha ritenuto opportuno intervenire direttamente su questa delicata vicenda per assolvere, a priori, la Banca d’Italia, dicendo che questa “ha esercitato fin dall’inizio con il tradizionale rigore le funzioni di vigilanza”.

A questo proposito, faccio notare come molto spesso (come in questo caso) si parli di “vigilanza” senza tener conto del fatto che “vigilare” non vuol dire, semplicemente, “stare a guardare”.

Quello che voglio dire è che un organismo (in questo caso la Banca d’Italia) può affermare di essere dotato di un reale sistema di controllo solo se la sua struttura di vigilanza, una volta che siano emersi fatti o comportamenti non in linea con le regole che quest’organismo s’è dato, interviene prontamente e concretamente per riportare la situazione sotto controllo.

Dotarsi di un sistema di controllo e poi, in presenza di fatti sicuramente anomali come quelli emersi (peraltro già anni fa) a proposito dei comportamenti tenuti dal management del Monte dei Paschi di Siena, non intervenire prontamente con azioni correttive, non significa soltanto gettare fumo negli occhi, significa (anche) essere colpevoli, quantomeno di complicità.

Purtroppo non vedo sufficiente consapevolezza del fatto che chi, avendone il potere, omette di sanzionare comportamenti scorretti è colpevole tanto quanto chi quei comportamenti scorretti li ha materialmente commessi.

Ma quello che è il dato più evidente tra quelli che si possono trarre da tutta questa squallida vicenda è che lo schifo che infesta questo Paese non interessa soltanto (come ipocritamente si vorrebbe far credere) la classe politica, ma tutta quella che viene pomposamente definita “classe dirigente”.

E quello che è ancora più grave è che per di più, a differenza dei politici, i dirigenti delle imprese italiane (tra le quali le banche) che con le loro scelte determinano grossi guai per tutta la comunità non devono in alcun modo rendere conto ai cittadini del loro operato.

E questo li rende ancora più potenti e più pericolosi.

Ma perché pagare per un servizio di cui non si usufruisce?

2 Feb

Per muovermi in città uso principalmente l’autobus e per questo pago all’azienda che gestisce il trasporto pubblico locale un biglietto il cui prezzo non è solo elevato, ma soprattutto sproporzionato rispetto al servizio di cui usufruisco.

Il biglietto (1,50 €) mi consente di muovermi in autobus per 100 minuti, che è sicuramente un periodo di tempo molto lungo ma che, altrettanto sicuramente, nella maggior parte dei casi è decisamente sproporzionato rispetto alle mie reali necessità.

Se scendo dall’autobus dopo poche fermate (tempo di percorrenza di 10-15 minuti) e, una volta sceso, non ho alcuna necessità di prenderne un altro (perché, per esempio, prendo l’autobus per andare in stazione o al cinema o a teatro), che senso ha aver pagato per un servizio di cui non ho potuto usufruire?

Si tenga presente che del servizio messomi a disposizione (100 minuti di percorrenza) la parte della quale non ho potuto usufruire (ma che ho comunque pagato) rappresenta più dell’80% del totale!

Visto che il prezzo del biglietto dell’autobus è collegato ad un “tempo di validità”, non sarebbe più logico (e più giusto) che, accanto al biglietto da 100 minuti, ve ne fossero altri di durate inferiori (contraddistinti, per esempio, da colori diversi), così che ciascuno abbia la possibilità di scegliere quello che si avvicina di più alle proprie esigenze?

Che senso ha mettermi a disposizione un’infinità di opportunità (e farmi pagare un prezzo a queste collegato) se poi a me serve soltanto una percentuale molto bassa di tutte quelle possibilità che mi vengono offerte?

La causa principale di queste assurdità sta nel fatto che nella società del marketing nella quale viviamo la regola è quella di aumentare volutamente il numero delle possibilità che vengono offerte ai cittadini clienti per poter così giustificare il prezzo elevato di quello che si vende (sia questo un bene o un servizio), ben sapendo che la stragrande maggioranza dei cittadini clienti non si rende minimamente conto di pagare (per tanti beni e per tanti servizi) un prezzo di gran lunga superiore a quello che sarebbe giusto pagare, a quello cioè collegato alle loro effettive necessità.

Far pagare per qualcosa di cui non si ha bisogno, ecco il vero obiettivo del marketing.