Essere liberi non significa, come banalmente si è soliti pensare, fare ciò che più ci piace, e per di più farlo senza considerare in alcun modo le conseguenze delle nostre azioni.
Essere liberi significa essere capaci di assumersi le responsabilità che l’essere liberi comporta, a cominciare da quella di poter scegliere senza condizionamenti.
Sapere aude!, abbi il coraggio di sapere, di conoscere.
Ma sapere, conoscere, comporta l’assunzione di responsabilità e con essa la capacità di affrontare rischi, dai quali è invece comodo rifuggire.
Ed è per questo motivo che in realtà, contrariamente a quello che comunemente si crede, molte persone hanno paura della libertà, a tal punto che spesso la rifiutano, preferendo seguire la via più facile, più rassicurante, più comoda, che porta a far scegliere gli altri, così da poter sempre presentare le loro decisioni, le loro azioni come la conseguenza di qualcos’altro, come l’imposizione di qualcun altro, mai come frutto di loro libere scelte.
Far risalire al nostro esterno la responsabilità delle nostre decisioni, ecco cosa si ricerca, altro che la tanto invocata libertà!
In tante occasioni ho potuto constatare direttamente quanto sia radicata l’abitudine di cercare sempre un appiglio (una legge, una procedura) al quale potersi aggrappare pur di non esporsi, pur di non dovere decidere in proprio su cosa fare, su come agire quando ci si trova di fronte ad un problema.
Sono proprio in tanti, per esempio, ad aver paura (una paura a volte paralizzante) di assumersi la responsabilità di decidere come vada applicato un principio sancito in una norma di carattere generale, abituati come sono ad agire come semplici automi, ad applicare in modo automatico regole precise, piuttosto che facendo riferimento a principi di carattere generale.
Questi esseri-automi, ogni volta che sono chiamati a decidere su un caso specifico, vanno subito alla ricerca di una regola che descriva quel particolare fatto e che indichi loro come comportarsi, come agire e se non la trovano ecco che allora si bloccano e, non sapendo cosa fare, prendono tempo, rimandano all’infinito la loro decisione e nel frattempo cercano di scaricare su altri le loro responsabilità.
Questa visione meccanicistica, che porta a ricercare per ogni singolo fatto una specifica regola, è indice di una mentalità che degrada l’essere umano a banale esecutore di regole decise da altri, è la negazione della capacità dell’essere umano di elaborare decisioni proprie, sulla base di propri ragionamenti.
Quello che queste persone non riescono proprio a capire è che per quante regole, per quante leggi, per quante procedure ci possano essere, ci sarà sempre un caso, nella vita reale, che risulterà non previsto da nessuna di queste.
Davanti a questo caso non contemplato da nessuna regola l’esecutore meccanico si fermerà, impaurito, incapace com’è di ragionare, di pensare con la propria testa, di assumersi la responsabilità di scegliere da solo e chiederà allora ancora una nuova regola, e così all’infinito, col risultato di finire tutti quanti sepolti da procedure, leggi, regole, che alla fine, anziché fungere da guida, finiranno per determinare il blocco, il non agire.
Quelle che mancano sono le persone veramente responsabili, in grado d’interpretare correttamente e di applicare le leggi, non nuove leggi (quelle già esistenti sono fin troppe).
A proposito di leggi, nella nostra Costituzione (la legge fondamentale della Repubblica italiana) sono chiaramente indicati i principi ai quali si deve fare riferimento nel decidere sui casi che si possono presentare nella vita di tutti i giorni.
Il punto è che giudicare secondo principi è cosa ben diversa che giudicare secondo regole; significa infatti stabilire un collegamento logico fra un determinato caso concreto e i principi di portata generale fissati nella Costituzione, e questo senza la necessità di doversi appigliare ad una regola pre-esistente.
Le leggi, infatti, come ogni studioso del diritto sa bene, prima ancora di essere applicate vanno interpretate.
Ed è proprio qui che sta il compito, certamente difficile, sicuramente ricco di responsabilità, ma proprio per questo stimolante, del giudice responsabile.
In caso contrario, il suo ruolo si ridurrebbe a quello di un banale esecutore meccanico, di un semplice applicatore di norme. Il giudice finirebbe allora per essere nient’altro che una bocca della legge, secondo l’efficace espressione usata da Montesquieu.